È notizia di questi giorni che un altro colosso farmaceutico – la multinazionale americana Pfizer, ma qualche mese fa era stata la Merck – stanno abbandonando la ricerca sulla malattia di Alzheimer: investimenti troppo alti a fronte di risultati scarsi, poco soddisfacenti e non immediati. Sulle decisioni ci sarebbe tanto da dire: ogni 4 secondi nel mondo viene formulata una diagnosi di demenza, e l’Alzheimer è la principale nei Paesi industrializzati. Intanto però la ricerca di base continua, in direzioni inaspettate che potrebbero rinnovare le prospettive di cura e stimolare nuove aree in cui investire risorse.
L’ultima in ordine di tempo è stata pubblicata su Brain. In base allo studio, una delle sostanze che si accumula nel cervello dei pazienti con Alzheimer, la proteina tau, si diffonde da un neurone all’altro con le stesse modalità dell’influenza: le aree cerebrali maggiormente connesse, e quindi con molti contatti con le altre, sono anche quelle che si “ammalano” di più.
Per la prima volta un gruppo di scienziati è riuscito a dimostrare che avviene così anche nel cervello umano: finora le modalità di diffusione a contagio della tau erano state documentate soltanto nei topi. Lo studio potrebbe fornire indicazioni importanti su come affrontare una principale forma di demenza che interessa 47 milioni di persone nel mondo, e per la quale non esiste una cura.