Chi si occupa di tabagismo dal punto di vista scientifico lo va ripetendo da tempo: non esiste una soglia “sicura” di fumo. Eppure per i fumatori, le conseguenze dannose delle sigarette sono una prospettiva lontana nel tempo. Rispetto ai non fumatori, tendono a collocare le ripercussioni negative della loro abitudine in un futuro più distante, una percezione distorta di cui occorrerà tenere conto nelle prossime campagne antifumo.
È quanto emerge da uno studio dell’Università di Milano-Bicocca e dell’University of Surrey pubblicato sul Journal of Cognitive Psychology.
PER AMMALARSI C’È TEMPO. I ricercatori hanno coinvolto 162 volontari, fumatori e non, e chiesto loro di stimare il tempo necessario a sviluppare 15 patologie in un fumatore medio che, all’età di 18 anni, cominci a fumare 10 sigarette al giorno.
«Il risultato principale riguarda il fenomeno che abbiamo chiamato “Onset time delaying effect”» spiega a Focus.it Luca Pancani, psicologo sociale, che ha condotto lo studio insieme al collega Patrice Rusconi. «In pratica, i fumatori, rispetto ai non fumatori, spostano più avanti nel tempo di circa 5 anni l’insorgenza di patologie sia gravi, come tumore ai polmoni, ictus o infarto, sia meno gravi, come bronchite, alitosi e invecchiamento precoce della pelle.»
IL LEGAME CON LA PAURA. L’abitudine al fumo porta a una sorta di percezione attenuata dei rapidi danni da sigaretta. Ma nella tendenza a rimandare il problema entrano in gioco anche fattori individuali.
«Abbiamo scoperto che la propria percezione di rischio (“Quanto ritieni probabile che nel corso della tua vita svilupperai la malattia X”) e di paura (“Quanto hai paura di sviluppare la malattia X”) giocano un ruolo fondamentale nella stima temporale dell’insorgenza delle patologie considerate», aggiunge Pancani.
«Indipendentemente dal fatto che si sia fumatori o meno, gli individui che provano più paura e si sentono più a rischio di sviluppare una certa malattia ne danno una stima di insorgenza più vicina nel tempo, nonostante tale stima sia riferita ad un’altra persona (il “fumatore medio” chiamato in causa nell’esperimento).» Questo vale per le malattie meno gravi: l’insorgenza di quelle più gravi viene generalmente percepita come più remota nel tempo rispetto al momento in cui si comincia a fumare – anche dai più “fifoni” e ipocondriaci.
IL FATTORE ANAGRAFICO. Lo studio ha riguardato giovani fumatori (studenti universitari), ma l’età potrebbe avere un ruolo nel moderare l’effetto. «È plausibile che persone più anziane abbiano una percezione temporalmente più vicina di queste patologie – chiarisce Rusconi – soprattutto di quelle più gravi che hanno più probabilità di presentarsi dopo una certa età. Questa, come altre differenze individuali e culturali, potrebbe modificare o addirittura annullare l’Onset time delaying effect: serviranno altre ricerche per comprendere il fenomeno.»
BUONO A SAPERSI. La scoperta di questo effetto potrebbe essere sfruttata per migliorare l’efficacia delle campagne di prevenzione e cessazione del tabagismo, per esempio nell’eterna disputa sull’efficacia o meno dei pacchetti “shock”.
«In psicologia – concludono i ricercatori – esiste una vasta letteratura sugli effetti dell’appello alla paura nella comunicazione persuasiva, ovvero sull’utilizzo di messaggi e immagini che mostrano gli effetti dannosi di un certo comportamento. Questa tecnica viene oggi utilizzata anche sui pacchetti di sigarette che riportano immagini e frasi che dovrebbero spingere i fumatori a smettere di fumare. Un esempio pratico di applicazione potrebbe essere rendere consapevoli i fumatori delle tempistiche di insorgenza delle patologie mostrate sui pacchetti di sigarette, in modo da ridurre la distorsione temporale che potrebbero mettere in pratica inconsapevolmente.»