Alcune mutazioni, in una vasta porzione di codice genetico che non codifica alcuna proteina, sono state collegate allo sviluppo di autismo in bambini senza altri casi familiari della malattia. La scoperta, pubblicata su Nature Genetics, è un mattone importante per la comprensione di questa famiglia di disturbi del neurosviluppo, della quale sappiamo ancora pochissimo. Ma è anche qualcosa di più: per la prima volta, infatti, si dimostra che alterazioni non ereditarie e non codificanti per proteine possono influire sulla genesi di una malattia.
Lo studio si basa su una premessa sconcertante che riguarda il nostro codice genetico, ossia che solamente il 2% di esso codifica per proteine che hanno funzioni essenziali per l’organismo; il rimanente 98% è stato ritenuto a lungo poco utile, tanto da guadagnare l’ingrato soprannome di “junk DNA”, DNA spazzatura.
Nulla di più inesatto: negli ultimi anni è stato dimostrato che questo DNA regola i ritmi di attivazione genica, e determina dove dovranno essere codificate le proteine. Inoltre, molte malattie sarebbero legate a mutazioni “spontanee”, cioè non trasmesse sull’asse ereditario, proprio di questa parte di DNA, e non di quel 2% attivo.
Le mutazioni nelle regioni di DNA che codificano per le proteine sono responsabili al massimo del 30% dei casi di autismo negli individui senza una storia famigliare di questa condizione. La nuova analisi suggerisce che le mutazioni nel DNA non codificante siano legate a una quantità equivalente di casi.
La ricerca ha il merito di aver individuato, in una porzione di DNA in cui nessuno aveva controllato, alcune regioni dove possono trovarsi alterazioni sulle quali è opportuno indagare in futuro. Come sottolineano gli autori, un approccio computazionale (che utilizza cioè la potenza di calcolo per risolvere problemi complessi) agli studi di genetica può aprire prospettive inaspettate nella comprensione di malattie sulle cui cause non vi sia ancora la necessaria chiarezza.